Magari il mio è il diario di una nerd. Ma per dire quale sia l'adolescenza e cosa abbia significato questo anno per me, credo che queste siano le parole migliori.
Domenica 18 maggio 2014
Mi sento invecchiata di quarant'anni in un giorno.
Prendendola alla poetica, potrei dire che mi sono resa conto della
"caducità delle cose terrene", come direbbe Petrarca. Prendendola da
quasi diciassettenne quale sono, dico che non ci sto capendo più niente. Dicono
che questa sia l'età della gioia, dicono che questa sia l'età delle delusioni.
Dicono che questa sia l'età del divertimento, dicono che questa sia l'età dei
dolori. Dicono che questa sia l'età più bella, dicono che questa sia l'età più
difficile. Insomma, nient'altro che un ossimoro, che mi ha travolto con le sue
parole. Parole belle, da un semplice "Brava, Pallotta!" dopo un interrogazione, al "Ti voglio
bene!" scambiato con la tua migliore amica nel momento in cui sta per
diventare anche la tua madrina; da un invito inaspettato a un "Ti
amo", detto spontaneamente, al buio di una sala del cinema, con gli occhi
lucidi. Ma all'improvviso, le parole, piuttosto che il volto, ti danno le
spalle. Se prima pensavi di essere diventata una persona più grande perché
avevi sperimentato cose nuove, adesso ti riconosci nella bambina che sei sempre
stata, perché vorresti scappare. Abbandonare tutto, eclissarti magari. Perche è
più facile abbassare lo sguardo e far finta di niente, piuttosto che alzare la
voce e farsi sentire. Anche se è sbagliato. Ma come fai a sapere quale sia la
cosa giusta da fare, quando tutto ciò in cui credevi scompare? A quasi
diciassette anni, mi ritrovo completamente spiazzata. Era questa la bruttezza,
l’ipocrisia, la falsità di cui
parlavate, adulti? È questo quello a cui dobbiamo abituarci, a vivere senza
riconoscere i valori, senza riconoscere l'autenticità delle cose? A dover
pesare qualsiasi parola ci venga rivolta, a dover perquisire lo sguardo
di ogni persona ci capiti a tiro, prima di poterci fidare? Per favore, quando
avrò veramente cinquant'anni qualcuno venga a ricordarmi che in questo momento
mi stavo sbagliando: che in questo film, perché altrimenti non posso descriverlo,
qualcuno si stava divertendo soltanto a togliere l'audio, ma che non mi
aspettava un film muto, in bianco e nero. Che era parte del processo di
crescita e che passerà come quando ero in seconda media, e le mie
professoresse, dopo un tema di italiano sull'amicizia, si preoccuparono:
dissero che non era normale che una bambina avesse un'idea così disincantata
dell'affetto. Io ricordo benissimo perché lo ero. E adesso, a diversi anni di
distanza, mi ritrovo nella stessa situazione. Peggiore, forse. Eppure la
tristezza passerà, subentrerà l'abitudine. Ma come allora, credo che per tanto
altro tempo, tutto sarà completamente vuoto.
Giovanna Pallotta
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