lunedì 15 dicembre 2014

Il Barocco in un romanzo

Non avevo mai sentito parlare di Antonella Cilento. Voglio essere sincera. Non sapevo nemmeno chi fosse né di cosa parlasse il suo libro. Quando ho saputo che avremo dovuto incontrarla, il mio entusiasmo era dovuto principalmente alle ore di lezione e a quelle di studio a casa che mi sarei persa. Quando il professore ci ha consigliato di “leggiucchiare” il suo romanzo per prepararci all’incontro, invece,  di entusiasmo ne ho avuto ben poco. Pensavo soltanto al fatto che avrei dovuto aggiungere ancora un altro libro alla montagna di quelli che dovevo studiare. Ma dopo aver aperto il romanzo per la prima volta, mi sono resa conto che stavo leggendo non per dovere ma con vero e proprio piacere. Il libro ha iniziato a incuriosirmi, coinvolgermi, affascinarmi. Non appena avevo un po’ di tempo libero, cercavo di leggere quante più pagine possibile. Fino a poco prima consideravo quell’incontro ormai vicino come una semplice perdita di tempo, ma presto ho iniziato a innamorarmi della scrittrice. Desideravo vedere di persona colei che con le sue parole era riuscita ad ammaliarmi. Giunto il momento dell’incontro, abbiamo discusso su tutte le tematiche che mi ero posta e che, appunto, speravo di approfondire. 
 “Lisario o il piacere infinito delle donne” mi ha fatto riflettere su tantissime questioni. Non è un semplice romanzo storico. E’ un libro variopinto. Sembra un quadro in cui si incontrano tra di loro colori diversi e tante figure. Un’opera d’arte del Barocco. E, guarda caso, è ambientato proprio nel '600, a Napoli, culla del Barocco. L’ambiente che fa da sfondo alle vicende narrate è una città vivacissima, che vive un momento di splendore grandioso. Forse è proprio nel '600 che la cultura napoletana conosce il suo apice di sviluppo. E’ il vero fulcro del mondo, che attira pittori da ogni dove. Caravaggio vi passa due volte, mentre a Cervantes ne basta una sola per innamorarsene perdutamente, tanto che per tutta la vita la ricorderà come il luogo più bello d’Europa. Napoli, però, è anche luogo di povertà, fame, rivolte, spazzatura, cattivi odori. Una città, quindi, dalle mille sfaccettature, che presenta tanti aspetti, diversi e contrastanti. 
Il '600, in poche parole, si rivela essere più vicino a noi di quanto abbiamo mai creduto. L’uomo, d’altronde, è sempre lo stesso. E anche i personaggi del racconto sono simili agli uomini moderni. Leggendo il romanzo mi sono immedesimata completamente nella protagonista. Ho seguito tutte le sue vicende quasi come se le stessi vivendo io stessa, come se i suoi pensieri fossero i miei. Antonella Cilento ha saputo dominare la storia con un’abilità sorprendente. Attraverso questo racconto si è rivelata essere una scrittrice grandiosa, capace di scovare non solo nella storia ma anche nell’ animo dell’essere umano, e capace di attirare a sé il lettore, così come una calamita attira il ferro.
Ma perché abbiamo il bisogno di raccontarci storie? E’ stata Cilento stesso a farcelo capire durante l’incontro. Una storia diventa interessante quando ci colpisce nell’anima, quando parla di noi stessi, ci fa riflettere sulla propria vita. E questo libro mi ha entusiasmato proprio perché in Lisario ho visto qualcosa, o forse molte cose, di me stessa. 
Lisario è una ragazza che vive in un secolo in cui le donne non sono nulla, ma sono costrette a ubbidire alle decisioni dei propri padri. Lisario, però, è una donna particolare, una ribelle. E anche il suo modo di ribellarsi è particolare. Per fuggire il matrimonio sceglie di addormentarsi. E’ diversa la situazione delle donne, al mondo oggi? Non molto. Sono ancora vittime, ancora non hanno una libertà effettiva, e sono poche quelle che riescono a trovare gli espedienti per poter far valere il proprio io. Alla fine anche Lisario si sposa e suo marito, addirittura, la fa diventare uno strumento scientifico. La usa per studiare il piacere femminile e capisce che è qualcosa di diverso rispetto a quello degli uomini: è un piacere infinito
E’ questa la tematica che mi ha incuriosito più di tutti, un argomento su cui non avevo mai riflettuto e su cui proprio questo libro mi ha spinto a pensare continuamente. Perché la masturbazione femminile era un tabù nel '600 ma, diciamoci la verità, lo è ancora oggi. E’ stata connotata nel tempo da forti pregiudizi che l’hanno resa qualcosa da nascondere e di cui vergognarsi, tant'è che una gran parte di donne continua a negare di praticarla o prova ancora imbarazzo nel parlarne, col timore di essere giudicata e stigmatizzata. Nel Medioevo le donne che si masturbavano venivano considerate streghe e condannate come eretiche poiché si riteneva che avessero rapporti con il diavolo in persona. Ma ancora oggi vengono ritenute “assatanate”, “ninfomani”. Per secoli la sessualità femminile è stata considerata debole, subalterna a quella maschile .Molti non accettano che le donne si procurino piacere da sole poiché lo considerano un piacere assoluto, “fine a se stesso”, che non permette la riproduzione e, soprattutto, non mette la donna nelle condizioni di dover assecondare e compiacere un uomo. Per molti ammettere che le donne si masturbano significa dover mettere in discussione le basi stesse del patriarcato, che si fondano su una totale dipendenza, anche sessuale, della donna rispetto all’uomo
Ed ecco come, ancora una volta, un racconto frutto della fantasia, ambientato in un’epoca apparentemente molto lontana alla nostra, si rivela esserci in realtà vicinissimo. Il passato, la letteratura possono essere utili a comprendere e migliorare l’uomo presente? La risposta è sì. 


Aurora Mella

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