giovedì 19 marzo 2015

"Scrivere" è uguale a "Emozionare"

È una pura coincidenza dover scrivere il resoconto di un incontro con l’autore di un libro riguardante la figura del padre il giorno della Festa del Papà. È un’occasione in più per poter riflettere sul rapporto che noi stessi abbiamo con i nostri genitori, sulla loro figura e sulla loro importanza nella nostra vita. Io, ad esempio, ho capito di aver un padre appartenente, citando il mio prof di filosofia, alla “generazione 1.0”: un padre all’antica, che ha sempre basato la sua presenza nella mia vita sull’autorità, non per questo volendomi meno bene. Un padre che, per rispondere a Scurati, secondo il quale si vive in un’epoca stereotipata dove alcuni capisaldi trascinano tutto il resto dietro di sé, non si troverebbe a Milano, stereotipo per eccellenza, neanche se ci andasse ad abitare, e che probabilmente non riuscirebbe neanche a capire cosa significa “seguire la massa”. Un padre che ha cominciato solo da qualche anno a cucinare per la famiglia, ma che non ha mai preso l’iniziativa di cambiarmi un pannolino o di lavarmi, come la nuova generazione di padri, invece, fa.
La mia riflessione, però, è andata oltre. Il bello di un incontro con l’autore di un libro, infatti, non è tanto il potergli porre delle domande o ricevere dei chiarimenti riguardo alle sue parole, ma è piuttosto approcciarsi a qualcosa che non è solo il suo scritto, ma la base stessa da cui esso nasce: la scrittura. Attraverso i diversi incontri che abbiamo potuto fare 
con la nostra scuola mi è stato per la prima volta chiaro che la letteratura non è qualcosa a sé stante, che muove dai libri e che solo le penne degli scrittori riescono a muovere. Lo “scrivere” , che mi piacerebbe tanto riuscire a praticare con risultati migliori di quelli che rappresentano i miei stentati e mediocri voti in italiano a scuola, mi è sembrato non più il semplice predicato della professione di uno scrittore, quanto un qualcosa di universale, che riesce a coinvolgere prima l’autore, e che poi coinvolgerà anche tutti i lettori, come una passione multiforme che attrae, ciba chi ama leggere e sazia chi ama scrivere. Per la Cilento si trattava di creatività e contemporaneamente di attualità, quel tipo di scrittura che fa fantasticare e allo stesso tempo meditare; Affinati, invece, parlava di “letteratura che nasce dalla vita e che alimenta la vita”. Ieri, per Scurati, la letteratura è diventata causa ed effetto di un’azione universale dell’uomo, che crea delle storie affinché noi le possiamo vivere, come se le sillabe di cui le parole sono composte non fossero altro che le nostre mani, i nostri occhi, le nostre gambe: il modo, insomma, per poter sentire sulla nostra pelle, e non solo leggere, una storia . Questo è il bello di cui parlavo e questo, d’altronde, è il motivo che rende in qualche modo speciali queste occasioni anche per coloro che non hanno finito, o magari neanche cominciato, il libro che l’autore sta presentando.  Non si tratta di capire quella che è la preparazione e lo stile che l’autore rappresenta nei suoi righi, e Scurati lo ha detto chiaramente: un bell’aspetto, una buona proprietà di linguaggio e una buona cultura sono importanti, ma non ci permettono di vivere tanto quanto, al contrario, ci permettono di guadagnare. Si tratta, invece, di poter andare molto oltre lettura di una narrazione in prima persona,  capire quale è la necessità che è alla base di un libro, che ha scosso così tante menti prima di noi, e riuscire, nella breve durata dell’incontro, a sentirla tangibile, e contemporaneamente a poter toccare il senso di fierezza che sta alla fine di un’opera conclusa.

La mia è una mente inesperta, che si lascia facilmente sedurre da questa specie di amore, diverso per qualsiasi persona che decide di sedersi e scrivere su di un foglio una storia.  Un amore che ha la necessità di essere vissuto, di essere ricordato e di essere condiviso: quale migliore occasione di un incontro di questo genere per poterlo fare?


Giovanna Pallotta

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